Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/243

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di riflessi argentei, come una cascata pietrificata: anche la strada, davanti al dottore e a Concezione, pareva il letto asciutto di un torrente, col profilo del paese, in fondo, staccato sul cielo turchino, e con tanti fili di fumo, eguali, lucenti come canne d’organo: una vera notte da presepio, o da incantesimo, con l’odore umido dell’acanto e del lapazio, e qualche fiamma che si accendeva e si spegneva nelle lontananze azzurrognole della valle come quella dei fuochi fatui.

— E il braccio, dunque, non me lo dai? — disse il dottore, che era lui a stringersi a Concezione per paura d’inciampare. — Ti racconterò una storia. Una notte di luna, come questa, sono passato di qui con una donna: non era una passeggiata d’amore, no; figurati che fra me e lei avevamo circa un secolo d’età: ed io avevo trent’anni: fa il conto dunque. E andavamo, sì, ad un appuntamento: il figlio della donna era un latitante, un omicida, e moriva miserabilmente di carbonchio, in un nascondiglio sopra la vostra chiesetta, press’a poco fra le rocce dove è scomparso il signor Aroldo. Io avevo curato il malato, ma troppo tardi ero stato chiamato: adesso egli moriva, e non voleva il prete, non voleva che rivedere sua madre. Si arrivò al posto; la donna sedette accanto al figlio, per terra, e gli prese