Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/94

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in lui, quando la gente se ne andò e Serafino si indugiò nella sagrestia. Il chierico spegneva i ceri, la chiesetta tornava grigia e fredda: che ci stava a far lui, in quell’angolo senza luce, con la testa bassa come un colpevole? Ecco una festa che gli si presentava tetramente vuota e sconsolata; meglio tornarsene all’accampamento degli operai della strada, e spaccare le pietre per intontire la sua pena. Si avviò, infatti, passo passo, fino alla proda della strada, ma non ebbe il coraggio di avanzare.

I macigni più alti del monte ancora coperti di neve, parevano, ai primi raggi del sole, blocchi di marmo; ma dalla valle saliva un alito tiepido, come di un fanciullo che dorme: il rumore del torrente, ingrossato dallo scioglimento delle nevi, era la ninnananna. E quel respiro riaccese un po’ di speranza nel cuore di Aroldo. Coi suoi occhi sani, egli vedeva in lontananza, a riparo di una insenatura tra la valle e il monte, l’accampamento suo e dei suoi compagni, fatto di capanne e di qualche tettoia, e pensava ai luoghi ove sarebbe dovuto andare, volendolo, per scavare strade ben più lunghe e difficili di questa, e trovare fortuna.

— Ebbene, è meglio che me ne vada, sì: che devo fare oltre qui? Sono come le volpi