Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/272

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Anche Ornella s’era assopita: il maestro la coprì col suo cappotto, e rinnovò sul candeliere la stearica, buona parte dalla quale s’era sciolta in un grappolo di lagrime bianche. La nuova stearica invece diede su una fiammella dolce e quieta, e solo parve scuotersi quando il secondo canto del gallo penetrò come un raggio di sole dal finestrino del soppalco.

Il maestro tornò giù e preparò il caffè, mentre Gesuino sonnecchiava accanto al cammino, come un cane che pur dormendo ascolta.

Anche il maestro ascoltava: gli pareva di non aver mai avuto sonno, eppure di aver dormito a lungo contro sua volontà: e nel silenzio sentiva fuori un vago scricchiolare, come se la notte s’incrinasse per lasciar passare la luce, e le cose piegate dalla bufera si sollevassero rabbrividendo, mentre dal velo d’acqua che copriva la terra, i cespugli, i giunchi della spiaggia, gli ombrelli dei funghi, emergevano come le cime dei boschi dopo il diluvio universale.

Questa impressione, di essersi salvato da un cataclisma, e con lui di aver salvato, come Noè nella sua barca, il seme di una nuova umanità, non lo abbandonò più. E sentiva di navigare ancora, in un mare più terribile del mare vero, ma la speranza di approdare era così forte che non gli lasciava più neppure il bisogno di ripetere l’antica canzone del marinaio invocante