Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/121

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la preghiera l’aveva liberata, e chiuse gli occhi per sfuggire anche la bianca e velata luce degli astri, tremolanti dietro i fini vapori notturni.

Il pensiero continuò le domande.

Erano sopiti i rancori e gli odî? Aveva trionfato l’innocenza e la persecuzione e gli spergiuri pagati? Che ne era di lui?

Formulata appena quest’ultima richiesta, le mani di Silvestra cominciarono a tremare, poi il tremito salì fino agli omeri, fino al delicato collo, che si gonfiò lievemente, fino al mento, che si aggruppò, fino alle palpebre, che si sollevarono e si richiusero, facendo palpitare le ciglia.

E fra le ciglia filtrarono ardenti lacrime, che scesero lungo le guance, e diedero alle labbra tutto il gusto acre ed ineffabile d’una voluttà immensamente dolce e indicibilmente dolorosa.

In quel momento di debolezza tutte le sue sensazioni si sollevarono ribelli per abbandonarsi senza freno ai ricordi, ai rimpianti ed anche ai desideri; il raggio oscillante degli astri le scese sul volto con una pioggia di baci ardenti, tanto più avidi quanto più sino allora obliati; e la fragranza delle erbe, dei fiori e delle foglie olezzanti nella notte le recò la visione d’un luogo indimenticabile, della marcita selvatica, tra il cui fieno era avvenuto l’ultimo doloroso colloquio.