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Un anno prima, verso il principio di giugno, Filippo Gonnesa si svegliò una sera tra il fieno d’una marcita naturale, dove sapendosi protetto dai pastori d’un vicino ovile, aveva parecchie ore dormito sotto le carezze profonde del tiepido tramonto.

Riaprendo gli occhi provò un senso di dolce benessere che prolungava la soavità del sonno; e non si mosse, restando con le mani aperte e molli abbandonate sul fieno caldo, non iscorgendo, al di sopra di lui, che il firmamento, di un’infinita dolcezza; il tramonto era là, dietro la tiepida testa di Filippo, nella chiara zona di cielo argenteo, solcata dai lunghi e tremuli raggi d’oro del sole calante.

La diffusa e rosea luminosità dell’occidente allagava la marcita: i verdi cespugli filamentosi, gli asfodeli che fiorivano ancora agli ultimi soffi primaverili, gli alti giunchi cosparsi di fiori rossastri, le lucide filigrane dell’erba sardònica e i lunghi, diafani steli del fieno gettavano sottili ombre, che s’allungavano visibilmente di minuto in minuto.

Filippo non vedeva attorno a sè che la distesa del fieno folto morbido, biondo alla base, sfumato in cima da un verde rossastro, che can-