Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/143

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soffro per me, e ti ho tanto amato (diceva già ti ho tanto amato!), — che sono felice del piccolo sacrifizio che compio per amor tuo. E se ritornassimo indietro e vedessi tutto nell’avvenire, ricomincierei lo stesso, ti amerei lo stesso, però guardandomi dal farti incontrare le disgrazie che per amor mio hai incontrato.

Egli rialzò la fronte e parve calmo: fissò gli occhi e il doloroso colloquio proseguì sommessamente.

Il sole tramontò rapido e pallido: la zona argentea dell’occidente prese allora una tinta luminosa sfumata in delicato rosa, che andò mano mano smorzandosi in glauco. Un glauco liquido e trasparente che con un ampio semicircolo invase quasi tutto l’orizzonte. Solo l’oriente restò cerulo, opaco; sembrava una lontana spiaggia deserta. Ogni ombra dileguò dalla marcita, cessò la brezza, e nella prima gialla luminosità diffusa dal vespero una profonda pace addormentò i cespugli, gli steli, il fieno e i fiori. L’odore dei giunchi si rese più distinto, e la voce sommessa dei due innamorati si perdè tra il fieno come un leggero soffio.

— Tu hai freddo, disse alla fine il giovine, accostandosi alle labbra le dita di Silvestra e soffiandovi lievemente. — Hai freddo? Bisogna che te ne vada. È tardi....

— È tardi, — ripetè lei. Ma non si mossero, e tacquero.