Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/25

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

— 17 —

disse la domestica con voce sommessa, senza avanzare.

— Fallo salire qui — rispose il padrone.

Mettendo timidamente i grossi piedi ferrati sul tappeto della porta, di lì a poco entrò un paesano altissimo, dalla smisurata faccia color di lievito macchiata di rosso, con un’ibrida e lunga barba a ciocche in parte nere, in parte color pelo di volpe.

— Come sta, compare don Istene? Buona sera!, — disse avanzandosi.

Stefano stese freddamente la mano; il Porri gliela strinse goffamente, e scuotendolo tutto esclamò:

— Sono contento che sia guarito, Dio la guardi! Ho veduto don Piane: sembra un giovane di quindici anni, Dio lo conservi!

— Sedetevi — disse Stefano; e richiamò Serafina perchè accendesse un lume.

La bella fantesca depose sul tavolino di sughero un’antica lampada ad olio d’ulivo, d’argento arabescato e adorna di catenelle: Stefano sedette sull’ottomana, e con le palpebre basse, fissandosi le mani intrecciate, ascoltò pazientemente il lungo discorso del Porri, che si lamentava della cattiva annata e di cento altri malanni.

Alla fine, avendo Stefano rialzato gli occhi come per dire: — Basta! — il paesano trasse di tasca una borsa di cuoio nero e ne aprì un’altra