Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/299

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E nel suo sogno forse anch’ella scorgeva vive e olezzanti le rose che la circondavano; forse rivedeva il vecchio telaio, l’antica casa paterna, e le argentee foglie dei pioppi e le oscure foglie del noce che volteggiando nei meandri del ruscelletto non più si smarrivano, ma fermandosi sulle rive fecondavano, crescendo in freschi cespugli, dove trillavano le cingallegre in amore.

Stefano uscì pian piano, accese una sigaretta nella fiamma del lume, e disse ad Ortensia di vegliare e suonar forte caso mai bisognasse la sua presenza.

Poi scese nell’orto, andò diritto al muro che dava sul viottolo e attese. Gli sembrava di essere calmo e risoluto, ma tratto tratto il cuore gli cessava di battere, e l’oscurità notturna, benchè serena e stellata, gli dava una oppressione e una irresolutezza.

Cantavano i grilli; incessantemente, sottilmente cantavano; e in quel tremolìo fine argentino, egli, chiudendo gli occhi, percepiva un continuo scintillìo di lamine metalliche, vibranti fra la misteriosa opacità dei grandi alberi dormenti.

I minuti, i quarti, le ore passarono. Egli le sentì, le contò; udì tacere l’ultimo cane sveglio del villaggio, e provò un po’ di freddo umido alle mani: sentì la siepe, l’erba e i fiori del muro e i gigli dell’orto, incolori nella notte, inumidirsi e olezzare sempre più distin-