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vestito, faceva grandi sforzi per celare il disgusto fisico ch’egli ancora le causava.
Vedendogli tremar la mano, sul cui bianchissimo dorso si scorgevano i téndini attraversati dalle vene verdastre, ella cessò di sorridere.
— Lascia stare, disse — scriverai più tardi; i tuoi corrispondenti sanno che sei malato, e avranno pazienza. Ora t’indebolisci di più, e non va bene.
Egli fermò la mano, e avvicinò alla bocca pensierosa la punta della cannuccia.
— Lascia stare — ripetè ella dolcemente, chiuse e allontanò la cartella.
Egli non protestò, non disse molto; solo avvicinò la penna alla fronte e parve volesse appoggiarsi con estrema debolezza a quel fragile appoggio. Ed ella gli tolse facilmente anche la penna, portò via tutto, e rientrando depose sul tavolino un involto di carta bianca, un calice d’acqua e un cucchiaino d’argento.
Vide Stefano contorcer le labbra con un atto di disgusto, e per animarlo e distogliergli l’attenzione da quanto ella stava per fare, esclamò gravemente:
— Ho da dirti una cosa: m’ascolti?
— Sì — e gli occhi smorti si animarono, seguendo macchinalmente i movimenti delle mani di lei.
Ella raccontò la storiella del formaggio rubato da Serafina; e intanto bagnò nell’acqua del