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la via del male 207


— Ho la febbre, non posso più lavorare, — disse frà sè, per scusare la sua debolezza. Si tastò il polso, s’asciugò il sudore; poi s’avviò. Ma giunto a Nuoro, invece di coricarsi si lavò, indossò il costume delle feste e si diresse al luogo fatale. Un impulso cieco lo spingeva: egli s’avviava verso la casa del Noina come l’assassino ritorna nel luogo ove ha commesso il delitto.

Arrivato davanti al portone esitò ancora un momento, poi scosse la testa col suo solito gesto sprezzante ed entrò; ma si fermò sotto la tettoia. Era circa la una: il sole inondava il cortile; dalla cucina usciva un acuto odore di carni arrostite e di caffè tostato. S’udivano risate, tintinnii di bicchieri, tutto il chiasso del banchetto nuziale.

Pietro guardava verso la loggia con occhi ardenti. Doveva salire? Doveva entrare in cucina, sedersi al suo posto di servo? I ricordi gli affluivano al cuore, con impeto angoscioso; per un momento egli rivisse nel passato, ricordò il primo convegno d’amore, e strinse i denti quasi per reprimere un grido di rabbia e di dolore.

Una donna apparve solla porta della cucina, con in mano un gran piatto bianco che scintillò al sole.

— Oh, Pietro, — ella salutò gaiamente, — buon giorno. Vieni avanti. Vieni su.

— C’è molta gente? — egli domandò, attraversando il cortile.

— Non tanta. Vieni: zio Nicola sarà contento di vederti!