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la via del male 229


Maria si curvò per entrare nella capanna, della quale conosceva già l’interno. Una pietra fissata al suolo serviva da focolare; qualche primitivo sgabello di ferula, fatto dai pastori, formava tutto il mobilio dell’abitazione preistorica.

Sopra un’asse disposta sotto il tetto di frasche, stavano le provviste del pastore; dai rami sporgenti pendevano vasi di sughero col manico di legno pieghevole, ed altri arnesi necessari per la confezione del formaggio e della ricotta; qualche tagliere di legno, qualche spiedo, unghie di pecora ridotte a cucchiai, formavano le masserizie dell’abitazione ove gli sposi volevano veder tramontare la loro luna di miele.

Maria guardò e frugò in ogni angolo; mise tutto in ordine, poi sedette su uno sgabello, finchè arrivò il servo pastore, verso il quale ella nutriva un’istintiva antipatia.

Era un grosso e rozzo giovanotto dal nome duro: Zizzu Croca, e dal nomignolo poco rassicurante: Turulia1 — una figura da uomo primordiale, con grossi occhi azzurri iniettati di sangue, in un viso nero, arso e aquilino d’arabo: la mastrucca, sopragiacca di pelle lanosa, completava il suo aspetto d’uomo selvaggio.

Nonostante questo aspetto, Zizzu Croca aveva maniere garbate ed una voce dolce, quasi femminile.

— Lasciate fare a me, — disse, poichè Maria e Francesco si preoccupavano per il giaciglio, — vi

  1. Nibbio.