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308 la via del male


Per qualche minuto, al solo ricordo dello sposo, Maria ricadde in quella specie di ossessione amorosa che da tanti giorni la turbava: un nodo le strinse la gola, il suo respiro si fece ansante; ella si rimise a cucire, ma l’ago le tremava fra le dita.

Da questo sogno la scosse un forte colpo picchiato al portone.

Ella mise per terra la camicia, ed andò ad aprire.

Era il portalettere, un omone rosso dai grandi baffi gialli, che guardò Maria da capo a piedi, quasi per assicurarsi che era lei. E quando se ne fu assicurato trasse lentamente dalla borsa una lettera con cinque grossi sigilli, sui quali si notava l’impronta d’un bottone a filigrana.

— Una raccomandata per la signora Maria Noina vedova Rosana, — egli disse, leggendo l’indirizzo. — Viene dall’Algeria.

— Dia, — pregò Maria, porgendo la mano e pensando a Sabina che si trovava ancora laggiù.

— Firmi qui, — disse l’altro, porgendole uno scartafaccio. — Ecco qui.

Ella dovette salire nella sua camera, firmò, guardò una firma che seguiva la sua e si domandò:

— Che vorrà da me Sabina? Dei soldi, forse? Ella non sa ancora che mi sono sposata?

Ridiscese, richiuse il portone e aprì subito la lettera. Era senza firma, ma ella riconobbe la calligrafia di Sabina. D’altronde la lettera cominciava così:

«Cara Maria, tu sai chi io sono: non mi firmo per prudenza, ma tu sai che io sono una persona