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aveva già veduto la fame negli occhi del povero, tornò in giardino e si mise a interrogarlo.
— Come vi chiamate?
L’uomo, già chino sulla terra a scavare l’erba, sollevò con diffidenza gli occhi, come se la voce del ricco gli arrivasse di lontano, subdola e fraudolenta. E non smise di lavorare, non per timore, ma per abitudine. Non gli importava nulla del padrone: in quel momento, l’erba che egli strappava fino dalle più profonde radici era l’unica cosa che contava per lui. Ma rispondere bisognava:
— Il mio nome è Francesco Costante Vannutelli.
— Sembra il nome di un cardinale! Avete moglie? Figli?
— Li ho avuti. Lei morta, i figli andati per la loro strada.
— E voi dove vivete?
— Io? In una di quelle capanne fatte di lastre di latta, laggiù, dopo Valle dell’Inferno.
— Avete qualche bestia?
L’uomo tornò a sollevare gli occhi: come diversi! Sorridenti, ironici e teneri nello stesso tempo, pareva si beffassero del padrone e della sua santa ingenuità.
— Bestie? Magari.
Riprese a lavorare. E il padrone intese. Magari, possedere un ciuco, un cane amico, o una