Pagina:Deledda - La vigna sul mare, 1930.djvu/241

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incursioni barbaresche, per salvarle dalle quali le reliquie del prode Efisio furono rimosse dalla primitiva chiesetta e trasportate a Cagliari, la festa dura due giorni, fra preghiere e canti di popolo, e gioia di mare e di cielo.

Non si rimase nella città: troppe cose c’erano da vedere e da godere; e di feste campestri, a casa nostra, ne avevamo, da maggio a novembre, una collana doviziosa.

Stracittadini si doveva essere, in quei giorni che la nostra Capitale ci ospitava all’ombra della sua Torre dell’Elefante. E si va, e si va, di meraviglia in meraviglia, finché alla sera del terzo giorno, stanchi di beatitudine, poiché si deve ancora assistere allo sparo dei fuochi d’artificio, invece di sederci al caffè, si pensa di salire su un palco eretto in mezzo ad una piazza. Si deve star bene, su questo palco imbandierato; e zio Andrea, senz’altro, mi piglia per mano e va su, seguito dagli altri. Se non che un giovane signore in tuba si affaccia dall’alto della scaletta e grida sdegnato:

— Ma chi è questa gente? Ma chi è questa gente? Via, via, rusticoni.

E noi giù frementi, a testa bassa. Umiliazione più cocente non si ebbe in vita nostra: né ancora ci riconforta il pensiero che quello era il palco per il Comitato della festa.