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di Gavina quando sente dire queste cose ride, con la sua bocca senza un dente che la fa parere la morte: ride, ma forse lei ne sa qualche cosa ed è complice dell’indemoniato forestiero.
Così parlava la portatrice della lettera, e la sua tenera scorta le si stringeva addosso, in modo che il gruppo procedeva per l’erta straducola come un corpo solo.
— E poi? E poi?
Ella continuava. Anche i cani del cacciatore erano diversi dagli altri cani: uno pareva parlasse, e se qualche ladruncolo tentava di avvicinarsi alla casa, gli urli umani della bestia spaventavano la gente a chilometri di distanza. Interrogata anche su questo, la vecchia Gavina rideva: rise, col suo riso muto e vuoto, quando, dalla porticina laterale della bicocca, sul cui scalino sedeva con un gatto rosso in grembo, avvistò la nostra compagnia.
— Adesso gliene dico due, — brontolò la serva, irritata dall’accoglienza ironica della vecchia.
E le fece vedere la lettera:
— Portatela al vostro padrone: noi aspettiamo qui la risposta.
L’altra si fece dura, senza smettere la sua aria di beffa.
— Va tu, a portargliela. O hai paura che egli ti palpi i fianchi?
— I fianchi li palperà a voi, per ricordarsi della morte, il vostro bel padrone.