Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/235

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sulla terra, ed egli s’avanzava indifferente, calpestando quello che egli stesso seminava.

La serva balzò, con le gonne bagnate, le braccia nude lucide come di bronzo, passò il guado e attese ferma sull’altra riva; egli la vide da lontano ma non si spaventò.

— Prudenza, Mikali, — disse a sè stesso. — Non perdere la tua calma.

— Che fai lì, giudea?

— Ti aspetto, non vedi?

— Parla.

— Mikali, — ella disse guardandolo con gli occhi terribili di amore e di odio, — io non voglio più stare in quella casa. Tu hai promesso a Pancraziu di dargli a mezzadria il podere di Santa Maria a Mare perchè potessimo sposarci presto e andarcene. Ma tu non puoi tenere la parola perchè non sei tu il padrone. Pensa dunque ad un altro mezzo, perchè io non voglio più stare in quella casa. Hai inteso?

— Oh, oh, come parli! Che ti devo, io?

— Nulla, mi devi! La vita, mi devi, cuore di tigre! Sono forse più viva, io? Sono una morta che cammina ancora. Tu mi hai succhiato il sangue: tu saltavi il muro, per venirmi a cercare, e dopo mi hai lasciato così, come un oggetto rotto. Va’, che gli uomini siete tutti feroci, più vili del cane, più vili della bestia più vile. Razza di Caino, ammazzate tutti il fratello vostro per andargli avanti...

— Ah, demonia, ti affogo, — gridò Mikali buttandole sulla testa la bisaccia sotto cui ella cominciò a dibattersi e a singhiozzare.