Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/267

Da Wikisource.

— 259 —

sorridendogli e mostrandogli i denti bianchi fra le lunghe labbra rosse: e una notte lo pregò di leggerle una lettera che il marito, emigrato, le scriveva dall’America, e di farle la risposta. Così a poco a poco gli avventori se ne andarono ed ella chiuse la porta e rimase sola con lui.

Un’altra sera, mentre egli passava nello stradone, Maria Luisa Zoncheddu lo chiamò per chiedergli con curiosità notizie di Vittoria.

— Sta bene come un pesce, Vittoria mia moglie; solo è un poco giallognola e rigetta quello che mangia; ma è cosa del suo stato. Se va d’accordo con mia madre? Tutto bene, tutti in pace e d’accordo come in un piccolo convento. E voi come state?

— Così, così! C’è Battista che soffre, con questi calori, e non vuol mangiare. Senti come tossisce. Non entri?

Egli entrò, salutando le donne e i bambini che stavano al fresco, nel cortile; al posto di sua madre sullo scalino della porta vide Ignazia, e di Battista, sdraiata sopra il carro, lo colpì la tosse ostinata.

Ella non s’era mossa nel sentire la voce di lui; non sollevò neppure gli occhi; tanto era buio e non lo avrebbe veduto; e ci fosse stato il sole l’oscurità per lei non cessava: ma la sua tosse diventò più forte, così forte che a Mikali parve un lamento, una protesta tormentosa che non aveva nulla di umano e pure esprimeva tutta la miseria e tutto il dolore del mondo.

— Siedi, Mikà. O vuoi crescere ancora come il gigante Golia?