Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/274

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ra come una grande moneta d’oro illuminava la brughiera e il mare laggiù; gli alberi, neri da una parte, argentei dall’altra, si raccoglievano intorno alla muriccia con le cime unite e i tronchi e i rami simili a gambe e braccia; e parevano pronti a cominciare una danza notturna. Ma ancora tutto taceva e il motivo del ballo si faceva aspettare. Il vecchio fattore credeva di essere ubriaco e di vaneggiare; tornò verso il cancello, lo spinse, lo trovò aperto. Qualcuno certo, più potente di lui, più ben visto dal Signore, aveva addormentato il cane e il servo con le parole magiche: sì, era così; ma a quale scopo? La vigna era vendemmiata, frutta non ce n’erano più, le olive erano ancora dure come ghiande.

S’inoltrò sotto gli alberi, dai quali cadevano silenziose foglie gialle che parevano piovere dalla luna; qua e là nell’ombra si ergevano forme misteriose: bisce dritte con la coda d’argento, tartarughe enormi, gatti addormentati. Il luogo sembrava tutto incantato ed egli si turbava sempre più appunto per effetto dell’incantesimo. Ecco, era l’anima di Bakis Zanche, che dal mondo della giustizia compiva l’opera misteriosa: il cane e il servo erano spariti e lui, il fattore, riprendeva possesso del suo predio. E su e su arrivò fino alla capanna; la porta era aperta, il giaciglio di erba secca lo aspettava; ed egli non aveva che ad accendere il fuoco e arrostire le trote per festeggiare la sua ripresa di possesso e ricominciare l’antica vita.

Sedette sul muricciuolo, trasse dalla bisac-