Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/295

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tempo lo opprimeva spesso, anche nei momenti di ebbrezza e di piacere. Ma non gli riusciva di ricordarsi, e aveva sempre l’idea di dover fare qualche faccenda urgente indispensabile per il buon esito dei suoi affari e di lasciarsi sfuggire inutilmente il tempo.

Nulla, nè il vino, nè le donne, nè il pensiero che a giorni sarebbe stato padre, gli rendevano l’antica spensieratezza; e gli pareva d’invecchiare, e passava le giornate in ozio trascurando gli affari di sua moglie; a volte si preoccupava per lo stato di lei, e diceva a sè stesso che, nato il figlio, tutto avrebbe ripreso l’andazzo di prima; ma alla notte tardava a rientrare e s’aggirava ubbriaco intorno allo stazzo Zoncheddu, guardando la finestra illuminata di Battista senza osare di chiedere notizie.

Non poteva avanzare dalla siepe, come se un fosso d’acqua morta senza ponte circondasse la casa. L’agonia lenta della fanciulla lo impressionava più che la morte violenta di Andrea. Gli pareva che egli fosse destinato a cagionare solo del male: tutti quelli che s’incontravano con lui dovevano perire: anche Vittoria fra poco morrebbe; anche lui doveva fra poco morire... Seduto sul paracarri dello stradone, intenerito dal vino, piangeva come un bimbo abbandonato pensando che tutto passa, tutto è inganno, tutto è inutile. Perchè dunque essere così attaccati alle cose del mondo? Poi d’improvviso si scuoteva, ricordando con sdegno i torti che credeva di subire da sua moglie, e l’idea di andarsene in America lo confortava: