Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/331

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notte sogno d’imbarcarmi e di naufragare in vista della terra natia. Io voglio partire presto per togliermi da questo male: spero di tornare presto e ho fatto voto di riedificare a mie spese la chiesetta del vostro monte, se scampo dai pericoli e torno sano e salvo. Dunque, andate da Vittoria per farvi dare il consentimento.

— Ah, no, figlio caro, ti sbagli. Adesso basta, io non metterò più piede in casa tua; non scenderò più giù dal monte. Sono stanco, zoppico, voglio morire in pace. Sì, la morte si ricorderà di me, verrà a me come il corvo ad Elia.

— Frate Zirò, vi bastono, — disse Mikali fra la minaccia e lo scherzo: ma il frate raccolse un fuscellino e glielo porse:

— Ecco il randello; questo basta per atterrarmi.

— Ditemi almeno cosa pensa mia moglie.

— Essa è disposta ad intendersi con te. Va dunque, io non so predicare, anzi corro sempre il rischio di far fare alla gente il contrario di quello che dico. Adesso, per esempio, fra te e tua moglie non so giudicare chi ha ragione. Dov’è la verità, Mikali Zanche? Qual’è la mano buona? La destra che fa il bene ed il male, la sinistra che si rifiuta all’uno e all’altro? Quali colpe scontiamo? Le nostre o quelle altrui? E quali sono le nostre e quelle altrui? È tutta una catena, Mikali Zanche, e dobbiamo tirarla tutti insieme, ecco cosa ti dico! Io vivevo tranquillo come la lucertola,