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Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/81

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E Andrea voleva far presto anche lui quella sera; perciò s’era fatto prendere sul carrettino; voleva anche lui correre, arrivare a salvare qualcuno, giungere in qualche posto ove assicurarsi che la notte non era eterna, che la luce non era per sempre spenta sulla faccia della terra.

Ecco infatti un lume lontano, in fondo al campo di fave, dietro la siepe dello stazzo Zoncheddu; e più sopra sul cielo verdognolo del crepuscolo la stella della sera come un faro sul mare. Era come un punto di approdo, oscillante eppure fermo nel vuoto: il faro che indicava il limite ove l’inganno del cammino mortale finisce.

— Io scendo qui, grazie — disse Andrea, fermando la mano del dottore.

Saltò a terra mentre il carrettino sobbalzava ancora; e rimase immobile sulla strada, fra la polvere e l’odore delle macchie; altre stelle apparivano qua e là come arrivassero di lontano e si fermassero sulle cime dei monti e sul confine della brughiera a guardare la terra oscura. Dove andare, oltre? Anche lui, Andrea, arrivava di lontano e guardava verso un luogo oscuro.

Dopo qualche momento di incertezza, si avanzò verso il lume dello stazzo, fermandosi di nuovo accanto alla siepe del cortile. Si udiva il ruminare dei puledri di Mikali legati sotto la tettoia e il chiacchierio delle donne riunite nella cucina. Attraverso la porta illuminata si vedeva la fila dei ragazzetti che mangiavano