Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/88

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— Anima mia! Stanotte no, non posso. Devo tornare allo stazzo. Domani ci rivedremo: va, Dio ti benedica!... Andrea, — lo richiamò raggiungendolo — tu non farai male a tuo fratello?

— No, no! — egli disse subito, e andò avanti. Camminava nel vuoto, ma ancora gli sembrava di marciare dritto, sotto un ordine preciso. L’illusione di ricostrurre l’edificio rovinato della sua famiglia lo guidava nel buio come la parola misteriosa di quest’ordine; e il ricordo appunto della rovina famigliare gl’impediva di voltarsi indietro, di andare da Vittoria.


VI.


Giunto allo stazzo, attraversò il corridoio illuminato dalla lampadina di Sant’Isidoro e spiò dall’uscio in fondo, con la speranza di trovare suo padre sveglio e di potergli subito parlare del suo progetto; ma il malato dormiva ansando, con le gambe scoperte, agitato anche nel sonno; e per terra, stesa su un materasso, stava Ignazia vestita e calzata.

Allora si ritirò nella sua camera, si buttò di traverso sul gran letto, affondò il viso fra le coltri. Si sentiva stanco, con la schiena rotta, come dopo un lungo viaggio, eppure non poteva chiudere gli occhi. Ondate di dolore, di orgoglio offeso, di amore disperato, poi di calma forzata e nuovamente di angoscia più folle, di odio violento, di sangue e di morte lo tra-