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200 | g. deledda |
plice incosciente, un egoista simpatico, e si serviva di d’Antine per distrarsi nella noia della vasta solitudine, nella quale s’indugiava non perchè il paesaggio o la sua proprietà lo attraessero, — non aveva alcun sentimento della natura, e nessuna preoccupazione dei suoi affari, — ma per uno speciale scopo.
Una sera i due amici stavano nella cameretta di Antine. Non avevano acceso lume, ed Elia stava audacemente seduto sulla finestra, con le gambe penzoloni all’esterno. E cantava:
“O tu che giaci là su la fiorita |
La sua voce un po’ fessa, stanca, cupa, si perdeva nell’aria buia della notte. Ed avea un’intonazione distratta: senza dubbio Elia pensava ad altro che alla sua canzone. Antine gli stava dietro, ritto, e lo ratteneva per le braccia, pauroso di vederlo cadere. La notte era fresca, quasi umida: lunghe nuvole e sottili solcavano il cielo. E in quella quiete profonda le fragranze salivano intense, e le voci della notte, — il romorìo della cascatella lontana, qualche latrato di cane, una nota sempre