Pagina:Deledda - Marianna Sirca, 1915.djvu/205

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aperti e dalle sbarre arrugginite dell’inferriata cadevano ancora grosse gocce d’acqua dense e rossiccie come sangue. L’aria già primaverile penetrava nella casa, e sopra i tetti, dai quali erano scomparse le ultime stalattiti, s’affacciavano piccole nubi chiare su un ciclo azzurro che pareva soffuso di meraviglia infantile. Sì, il sole esisteva ancora; e il mormorìo lontano del torrente, nel silenzio del quieto mattino, diceva di cose dolci lontane, di erba, di querce bagnate che si scuotono come naufraghi venuti fuori dalla tempesta, dei primi agnellini nella tanca che suggono il latte materno guardando in alto con voluttà, dei cani allegri che abbaiano vedendo a sera scintillare un fuoco in lontananza nel crepuscolo azzurro ed è la luna di febbraio che cala fra mandorli già fioriti della valle di Oliena.

— Il buon tempo ti porta: beato chi ti vede, — disse Marianna.

Il cugino la guardava e sorrideva mostrando i bei denti nel viso pallido; era più magro e gialliccio del solito e appunto con quei denti sani nel viso devastato pareva uscito appena da una malattia. Gli occhi