Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/149

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stesa sull’erba, intenta ai giochi del piccolo Salvador. Sembrava ieri, sembrava un secolo!...

Ma ella si voltava, vedeva i bimbi vestiti di bianco, con una fascia nera al braccio, e trasaliva come svegliandosi di soprassalto; e un nodo le stringeva la gola, costringendola a curvare nuovamente la testa oppressa dal peso dei ricordi.

L’illusione tornava. Ella si rivedeva là, due anni prima, un anno prima: là, allo stesso posto, quieta, tranquilla, come assopita nella sua felicità quotidiana diventata abitudine. Bastava alzarsi, chiamare i bimbi, tornare a casa per trovare la tavola apparecchiata, il pranzo pronto, Justo che aveva finito il suo lavoro e aspettava i suoi figli e sua moglie e i loro baci, come un compenso al suo sforzo e alla sua tenacia di lavoratore.

Povero Justo! Nell’ultimo anno era diventato un po’ nervoso, più taciturno ma meno calmo del solito: e s’era vieppiù ingrassato, ma d’una pinguedine molle, pallida, quasi vuota. Qualche volta Lia, che aveva studiato lo spagnuolo, provava una strana impressione nel leggere gli articoli di suo marito: le pareva che anch’essi fossero sempre più abbondanti di parole, ma scialbi, morti: riflettevano, per così dire, la stanchezza e l’esaurimento del giornalista.

Lia non s’illudeva: Justo era in decadenza, come uomo e come scrittore, ed ella talvolta, accorgendosi di valer poco per lui, provava un