Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/151

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aumentava la sua angoscia. Tutto il mistero di una solitudine infinita, di una notte in mezzo al deserto la circondava.

Prese Salvador fra le braccia, lo cullò, gli parlò come ad un bimbo di due anni; egli piangeva, ma capiva il dolore di lei e, pur lamentandosi, cercava di confortarla.

— Domani sarà passato, mamma. Mamma cara, non può durare, se no, come vado a scuola? Ho fatto da cattivo, ho fatto chiasso, mentre il signor Guidi dormiva, e così ti ho recato dispiacere.... e perciò Dio mi castiga.... Ma tu mi perdoni, mamma, e anche Dio mi perdonerà....

Finalmente all’alba il dolore diminuì ed egli si riaddormentò.

Anche il tempo si rasserenava: Lia era stanca, affranta, ma non tornò a letto.

L’alba la chiamava. Aprì la finestra e sentì il profumo dei giardini, il canto degli uccelli. Guardò il cielo solcato da piccole nuvole di argento che si rincorrevano e parevano dirette verso un orizzonte ove tutto era pace e freschezza e sentì la nostalgia dei luoghi solitari, delle spiaggie marine e desiderò prendere con sè i suoi bambini, portarli fuori da quella stanzetta che sembrava una gabbia e seguire con loro le nuvolette che andavano verso le montagne e verso il mare. Ma ben presto s’accorse che tutto questo era poesia. La realtà sogghignava alle sue spalle,