Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/154

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bravano più bianchi, d’un candore anemico di fiori malati.

Lia osservò che tutto era un po’ guasto o di qualità scadente, in quel mercato popolare; le fragole erano pallide, le ciliegie troppo mature, come piene di sangue malato: l’odore del pesce guasto si mischiava al profumo acre dei fiori che marcivano. Lo scirocco aveva sciupato ogni cosa, non tanto però da allontanare la povera gente mediocre le cui condizioni — pensava Lia — rassomigliano in qualche modo a quelle della roba che compra.

Ella si vedeva nel gran numero, e un brivido di pietà e di disgusto l’assaliva. Anche il giardino era invaso da mia folla misteriosa di giovanotti pallidi dall’eleganza equivoca, vestiti di verde, con le scarpe gialle; alcuni si abbandonavano a una fosca contemplazione del lago e dei cigni; altri sorridevano e gridavano parole insolenti a una donna bruna e scarmigliata che attraversava il viale sollevando le gonne sulle scarpine bianche infangate.

Lia riprese per mano i bimbi pensando con terrore che se voleva spender poco doveva abitare nelle case ove si rifugiavano quei disgraziati.

In fondo a via Mecenate si fermarono davanti a una casetta silenziosa alla cui porta batteva una striscia di sole e al cui fianco, come in certe vignette romantiche, un albero protendeva i suoi rami un po’ scuri. Aprì un’infermiera grassa e