Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/205

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inquadrava il suo melanconico viso di vedova giovane e povera. Tutto era mutato, nella strada come nella sua vita. Chi lo avrebbe detto allora, quando arrossiva nel veder da lontano la buona figura del suo Justo, che ella avrebbe dovuto servir da modella a un artista, mediocre e volgare?

Tutte le inquietudini della sua vita la riassalirono, e lagrime tristi come le gocce di pioggia che battevano sui vetri le solcarono il viso e bagnarono la tela che il suo ago continuava a trapuntare. Eppure c’era qualcuno che la invidiava! A un tratto si alzò, s’asciugò gli occhi e guardò l’ora. Era appena la mezza, e la tavola, nella saletta grigia e fredda, era già apparecchiata e la modesta colazione già pronta. Ella indossò di nuovo la giacchetta e preparò gli ombrelli, ma in attesa delle due meno un quarto, ora dell’uscita dei bambini, si mise a scrivere a Piero Guidi. Un impulso prepotente la spingeva, un bisogno quasi iroso di gridare a qualcuno la sua desolazione, di protestare contro quell’uomo annoiato che si abbassava a invidiare una creatura come lei, — la più misera delle creature.

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Intanto il quadro era quasi finito, e ancora non si parlava di compenso. Ma Lia aveva ottenuto quello che veramente l’aveva spinta nello studio del pittore, — e d’altronde non dubitava del-