Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/242

Da Wikisource.

— 236 —

suoi, ma mentre io compativo i suoi, ella non aveva pietà di me. Mi odiava; mi odiava, — egli ripetè con rabbia, — e il perchè non me lo disse mai! Avessi almeno saputo il perchè! No, ella non mi diceva mai niente; si ergeva, davanti a me, come un muro contro cui io sbattevo ad ogni momento la fronte. Ero diventato come pazzo; non vedevo più, non ragionavo più. Da tre anni siamo separati, e il tempo passa ed io non posso dimenticare.... Non posso, non posso! L’anno passato qualcuno mi avvertì ch’ella sarebbe ritornata a stabilirsi a Roma: è ricca e può farlo. Allora fuggii io; sì, sono stato io a farmi mandare in Sicilia, tanto avevo paura di rivederla, fosse pure nelle vie. E adesso è qui! È qui! — egli replicò, stringendosi la testa fra le mani, con disperazione così sincera che Lia non osò pronunziare parole di conforto e di pace.

— L’ha veduta? — domandò.

Egli fece segno di no: ella riprese:

— Roma è grande. Essa, poi, sarà venuta per qualche mese. Poi ripartirà....

— Odio l’aria che essa respira! Eppoi, se essa è qui lo è per tormentarmi e perseguitarmi, lo so, lo so! Mi meraviglio, anzi, che ella sia stato tanto tempo quieta: essa ha tempo, denari, salute, ed io sono stato per lei una specie di trastullo col quale si è divertita crudelmente, e vuol riavermi, lo so, per riprendere il suo gioco. Non mi lascerà più tranquillo, vedrà, Lia, vedrà!