Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/29

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die daziarie le domandarono che cosa contenesse la scatola, ed ella rispose «aranciata» egli disse!

— E che credevi ch’io avessi ancora tutti i denti, per masticarla?

Bisognò aprire la scatola, che oltre il dolce durissimo, fatto di scorza d’arancio e di mandorle, conteneva alcuni oggetti di vestiario; Lia rivide la sua gonnellina per casa, la sua camicetta nera, le sue scarpette a lacci; e le parve di rivedere, con un sentimento di vergogna e di pietà, tutto il suo umile passato, esposto lì, in quel luogo grigio e rumoroso popolato di una folla sconosciuta e indifferente.

I sardi, curvi sulle loro bisacce e le loro valigie, mettevano in mastra i più celebri prodotti dell’isola; il vecchietto beffardo non voleva pagare il dazio perché il grappolo di formaggelle dorate ch’egli portava dentro la sua bisaccia era destinato a un deputato influente: anche gli altri discutevano, e Lia dovette salutarli e andar via con lo zio.

Egli la fece salire su una carrozzella scoperta, e col bastone, mentre attraversavano piazze, strade, viali, le indicò qualche punto della città. Ecco, quella strada dritta e luminosa, che si slanciava verso un orizzonte sereno, chiuso da montagne azzurre, era il principio del quartiere dei poveri e dei malviventi, di cui lo zio Asquer parlava come di un mondo iniquo e feroce; quel-