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116 nell'azzurro


Allora Ardo si allontanò anch’esso dal villaggio, correndo verso la campagna, pazzamente allegro per essere scampato da quella terribile morte. Non pioveva più, ma sul cielo correvano ancora le nubi, fra i cui squarci la luna proiettava di tanto in tanto un pallido e triste raggio sulla campagna fangosa, devastata dal vento che soffiava sempre.

Ardo riprese la sua corsa notturna, e, sembrandogli di essere inseguito dalle genti del villaggio, galoppava come il Ruello della leggenda di Giovanni Prati.

- Portateci a volo, bufere dei ciel...


E trascinava a stento le sue, ovvero le larghe scarpine di don Marco, attraverso i ciottoli e il fango. Il vento allargava le code di rondine del suo frack, le faceva svolazzare fin sopra il suo capo, e così, allargate, svolazzanti, nere, parevano due ali.

Ardo sembrava un uccello, un grande uccello di rapina, vagante nella notte, in cerca di uomini uccisi dalla bufera.

Quando si credette lontano ben bene dal villaggio pensò di riposarsi un poco... dove? Non certo in una casa, in uno stazzo... oh, no, no, mille volte no. Conosceva abbastanza la cattiveria della gente.

Ma bisognava pur cercarsi un rifugio, tanto