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lembi di cielo azzurro, indorati dalla luna, illuminavano la triste solitudine della montagna e della vallata.

Ardo si riallacciò ben bene le scarpine di don Marco e prese la via opposta a quella presa dai banditi, in cerca di uno stazzo, non per entrarvi, ma per chiedere d’indicargli la via che conduceva allo stazzo donde era partito.

Cammina, cammina, cammina, vide alla fine due muri screpolati, neri, coperti da un tetto di siepe e di pietre: li credette la capanna di qualche pastore, e v’entrò. Ma vide ch’era una capanna rovinata. C’era soltanto una vecchia botte in un angolo ed in un altro un gran mucchio di fieno secco sul quale si sedette per riposarsi.

La calma più perfetta regnava ora al di fuori: il cielo diventava sempre più limpido, e solo il muggito del torrente ingrossato dalla pioggia, interrompeva il silenzio della notte che sfumava. E Ardo, vinto dalla stanchezza, dalla febbre, cullato da quel monotono mormorio, si stese quasi automaticamente sul fieno della deserta capanna e chiuse gli occhi, domandandosi se tutto ciò che gli accadeva non fosse un sogno.