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la casa paterna 135


bambole, mentre Franceschino passeggiava per il marciapiede, contando le lastre, o facendovi trottare Clam, il nostro cane favorito, attaccato ad una carrozzella di legno su cui stava la mia bambola coi suoi bagagli che partiva per i bagni.

Nelle piccole città, nei villaggi, i bambini anche ricchi godono una grande libertà; non sono tenuti rinchiusi, con le ore fisse ad una od un’altra occupazione, come lo studio, la ricreazione, il passeggio, ecc., come nelle grandi città: e così noi si stava quasi tutto il giorno davanti alla casa, coi nostri amici.

Poi entrai nella casa. Che oscurità, che odore soffocante! Apro la finestra e nell’aprirla mi ricordo che il giorno che partii — era un ardente meriggio d’estate — Giannina, la mia governante, dopo avermi baciato ed augurato buon viaggio si volse vivamente come per semi—chiudere quella finestra, ma in realtà per nascondere il suo pianto... Povera Giannina! Forse una voce segreta in quell’istante le diceva che non mi avrebbe riveduto mai più.

Il vestibolo comincia a dissipare le mie paure: è sempre lo stesso, piccolo, con le pareti tinte di grigio e fiorami, qualche mensola ed eleganti sedie di legno scuro. V’è persino la stessa lampada di porcellana verde, le stesse portiere, oramai vecchie.

Mi fermo un momento indecisa se debba visitare prima le stanze od il piccolo giardino: mi de-