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Pagina:Deledda - Nell'azzurro, Milano, Trevisini, 1929.djvu/144

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140 nell'azzurro


E fra quei mobili, intorno alla mensa decentemente imbandita, nei simpatici desinari di famiglia a cui spesso interveniva o un amico o un parente, intorno al caminetto acceso, nelle lunghe serate d’inverno — perché la sala da pranzo ci serviva anche da salotto di famiglia — nei caldi giorni d’estate, quando attraverso le tende abbassate penetrava una dolce luce verdognola, quella mezza luce estiva tutta scintillii e silenzio, così deliziosa e calma, nelle notti incantate, allorché saliva sino a noi il profumo dei campi e del giardino, e la luna passava pei firmamenti inargentati, ed io, china sul davanzale, ascoltavo il canto del grillo o il muggito del fiume lontano, o suonavo un’aria mesta come l’ora, rivedo tutte le persone a me care, le persone che mi circondavano allora, che venivano in questa casa, amandosi a vicenda, nella felicità, nella modestia di una famiglia che non chiede altro a Dio se non di prolungare la sua tranquilla felicità. Ma Dio non sempre ascolta! La mia mamma, il mio babbo sono morti giovani: la nostra casa è d’altri, e anche se fosse nostra non servirebbe più: non possiamo viverci soli...

Rivedo mio padre, così dolce, così buono, nonostante la severità ostinata di tutti i padri, dai grandi occhi neri affettuosi, dalle mani bianche e fini come quelle di una donna. La mia mamma