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degli elci scintillanti fra la brezza e i bagliori del tramonto?

Il giovine tenente ne fu commosso, nonostante la sua gaiezza, la sua indifferenza. Don Martino, l’ammonì, in italiano, per non esser ben inteso dalla bimba che non capiva se non imperfettamente quella lingua: — Perché l’attristate così, la mia povera figliuola? —. Passò la sua mano tremula, col pollice e l’indice imbruniti dal tabacco, sulla testolina di Cicytella e le chiese se restava per la novena.

Essa rispose di sì. — Prima di separarsi Azzo, il pittore e don Martino le regalarono un’infinità di dolci ed altre cosette che la fecero andare in estasi; — la baciarono, le promisero che l’indomani salirebbero senz’altro a visitarla nel suo dominio.

A poco a poco tutti lasciarono la montagna: quando sul mare lontano, sul confine del cielo glauco, fatto splendente dalle fulgide sfumature color viola del crepuscolo, s’alzò la luna, grande, purpurea, Cicytella era in chiesa e pregava. E quando il custode entrò per chiudere le porte e la vide inginocchiata nel cerchio d’ombra descritto dalla lampada tremolante, colla bionda testina china sulla balaustrata di legno, e le disse: — Che fai ancora qui, bambina? — ella fu per rispondergli:

— Pregavo per la mamma!

Uscì dalla chiesetta, e, attraverso il bosco illu-