Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/126

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deva con un sorriso malizioso. — Non so se ciò dipenda da me! Del resto io penso sempre che la vita è inutile, l’umanità inutile; ma dal momento che non mi suicido, vuol dire che ammetto la vita. Ora, ammettendo la vita, certo, la cosa più grande che io possa fare è un figlio. E lo farei con entusiasmo, con orgoglio, se fossi certa ch’egli non diventasse un piccolo borghese come noi!

— Egli potrebbe diventar ricco, essere utile alla società.

— Storie! Sogni da piccoli borghesi! — ella diceva con amarezza. — Egli sarebbe infelice come noi.

— Ma io sono felice! — protestava Antonio.

— Se sei felice vuol dire che non capisci niente, e così sei doppiamente infelice! — ella diceva, rabbuiandosi, con gli occhi foschi che mettevano paura al marito.

— Mia cara, tu diventerai matta come i tuoi grandi autori.

— Ecco il piccolo borghese, il quale non sa quello che dice.

E così proseguivano, finchè Antonio guardava l’orologio e trasaliva comicamente.

— È già passata l’ora! Se tu dovessi andare all’ufficio, cara mia, certe idee, ti assicuro io, non ti passerebbero per la mente.

Balzava dal letto, correva a lavarsi, poi con le mani umide, col viso fresco e umido, correva a baciare Regina.

— Sembri un sorbetto di fragole! — ella diceva, convinta. E così facevano la pace.