Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/146

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lucciola errante, ora le sembrava di aver riportato sull’argine solo il suo corpo stanco e sofferente. L’anima volava via, se ne andava a Roma! Che faceva Antonio a quell’ora? Soffriva molto? Sentiva egli l’anima di sua moglie stringerlo tenacemente più che non l’avessero mai stretto le sue braccia? Le aveva scritto? Antonio, Antonio! Attraverso l’odore dell’erba, cioè attraverso tutti i ricordi e tutte le senzazioni che quella fragranza le ridestava, ella sentiva il tenero, lo speciale profumo «come di fiori bruciati» che emanavano i capelli di lui. Lagrime ardenti le salivano agli occhi. Era allora che improvvisamente taceva, col pensiero smarrito in una lontananza triste.

Era già pentita della lettera, o almeno di averla scritta troppo presto. — Potevo in tutti i casi scriverla qui! Egli avrebbe meno sofferto — pensava, per nascondere a se stessa il suo pentimento.

— E il maestro? E Gabri e Gabrie? — domandò, passando davanti a Fossa Caprara, la cui chiesetta bianca si distingueva nettamente, arrossata dalla luna, fra l’ombra dei platani. Al di là dell’argine, attraverso i salici argentei, il fiume brillava come un vetro antico leggermente ossidato.

Toscana e Gigi scoppiarono a ridere insieme, un po’ goffamente, ma entrambi beffardi.

— Che c’è? Perchè ridete così?

Il giovinetto soffocò la sua risata, ma Toscana rise ancora più forte.

— Ma che c’è? Riprende forse moglie il maestro?

Lu el vorres, se, ma li doni li nal veul