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— Come stai? — le chiese Regina, guardandola curiosamente.
Vedeva che il mugnaio non era poi tanto vecchio, nè la mugnaia tanto giovane, come sembravano da lontano. L’interno del molino era pulitissimo; ai piedi del letto di assi bene inchiodate ardeva il focolare; rozze stoviglie, che parevano scavate in qualche terramara, s’allineavano nell’armadio. Il meccanismo del molino era poi quanto di più primitivo: due grandi pietre livide, rotonde, giravano una sull’altra, mosse dalla ruota: la farina scivolava lenta, dorata, cadendo entro un sacco. E la ruota correva, correva, inseguita, sbattuta, frustata dall’acqua rumorosa: ruota ed acqua sembrava giocassero ad una lotta scherzosa in apparenza, crudele e spietata in realtà.
Il vecchio Joachin prese la mugnaia per le spalle e la scosse tutta.
— Presto, fa li gnocchi, mugnaia, falli grandi come le tue dita.
Ella rise stupidamente, guardandosi le dita, davvero enormi; e subito dopo prese la farina e l’impastò con acqua del Po.
Regina, accorgendosi che la sua presenza impacciava la mugnaia, uscì nella piattaforma, sedette sopra un sacco di farina e s’immerse nella contemplazione del tramonto meraviglioso. Il sole sfiorava già il fiume, versandovi dentro una grande colonna d’oro: ma verso il molino l’acqua cominciava a perdere i riflessi, e svaniva giù, ad oriente, con pallori di madreperla bianca. Regina vedeva i vortici del fiume aggirarsi luminosi, simili ad enormi conchiglie periate; la ruota d’un molino vicino sventolava