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e tutto olezzava. Anche dalla terra calda, dalla sabbia umida, dai viottoli bagnati di rugiada, saliva un profumo eccitante, un alito silenzioso e voluttuoso. Pareva che dietro ogni siepe vigilasse una donna in attesti dell’amante, e che il suo desiderio e la sua gioia riempissero il vuoto della notte calda e vellutata.

— Domani si farà la luna, — disse Regina, che non poteva assolutamente star zitta: — così potremo godercela un po’. Quando sono arrivata io c’era una bella luna. Non è vero, Petrin?

Il carrozziere non rispose.

— Dorme! Faremo un capitombolo, se Dio vuole! — disse Antonio, seccato.

— Ma no; il cavallo è abituato — assicurò Regina. E certa che ora Petrin non la udiva, disse, con voce tenera: — Com’ero triste quella sera!

— Perchè? — chiese Antonio, quasi non ricordasse più nulla di quanto era accaduto.

Regina si volse di fianco, meravigliata, fremente: non ne poteva più.

— Antonio, — mormorò con un soffio anelante, cingendogli il collo con un braccio, — perchè sei così? Che hai? Che hai?

— E me lo domandi? — egli mormorò, senza voltarsi. Era appena un soffio, la sua voce, ma un soffio dove Regina sentì imperversare un uragano di rancore.

— Tu non mi vuoi perdonare, — disse, staccandosi da lui. Ma egli si era già voltato, e la stringeva nuovamente a sè, baciandola con un impeto che a Regina pareva, più che di passione, di disperazione.