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— Piacere! — disse Antonio. — Dà almeno un bacio anche a me!
Claretta, senz’altro, lo baciò sulla guancia; poi prese Regina per mano e la tirò su, su, gridando e ridendo, alta, frusciante, fragrante. Regina la seguiva, un po’ invidiosa e gelosa, un po’ incantata da tanta bellezza disinvolta. Claretta la portò su quasi fra le braccia, riempiendo la scala delle sue risate e dei suoi strilli; l’introdusse nell’appartamento, e dopo averla gettata sul soffice petto della grossa zia Clara la trascinò per tutte le stanze.
L’appartamento era illuminato a gas; i mobili lucevano e puzzavano di petrolio. Tutte le stanze erano strette, zeppe di mobili, soffocate da panneggi grossolani, da tappeti di juta, da lavori all’uncinetto, da grossi cuscini ricamati in lana, da ventagli e ombrellini di carta traforata: in certe camere non ci si poteva muovere. Regina fu presa alla gola da un senso di soffocamento. Il ricordo della bella palazzina paterna, dalle grandi stanze calde e semplici, l’assalì con tenerezza angosciosa: e per confortarsi sentì il bisogno di dire a Claretta:
— Noi staremo qui finchè non avremo trovato un bell’appartamento: è facile trovarlo, non è vero?
— Non tanto, ora, sai. Ci son gli stranieri, ora, che assaltano Roma come un nembo di cavallette. — rispose la cugina, che si fermava davanti a tutti gli specchi, voltandosi e rivoltandosi con ammirazione, e parlava alto per farsi udire dai «maschiacci» riuniti nella saletta da pranzo.
— Ecco, questa è la vostra camera; il vostro