Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 212 — |
nestra aperta sul cielo d’un azzurro perlato, diede a Regina l’idea d’un nido in cima ad un pioppo. Sì, la vita era. bella anche pei poveri. Tutto era relativo. Quel suonatore ambulante che alla sera portava due, tre e qualche volta persino cinque lire alla mogliettina muta e laboriosa, e trovava la casetta pulita e un buon arrosto di abbacchio, era felice più di molti milionari!
E Gabrie coi suoi sogni e il suo coraggio, che doveva veder la vita davanti a sè, pura e luminosa come quello sfondo di cielo della sua finestra, chissà quanto era felice!
— La felicità è in noi non nelle cose che ci attorniano, — pensò Regina. — Chissà! Un tempo io mi credevo infelice perchè abitavo al quinto piano, in una casa che tuttavia era nel quartiere dei benestanti; ora mi pare che sarei felice anche qui, in questa casa dei poveri, alle porte del regno dei più miserabili.
Ma Gabrie non tornava. Tanto meglio s’era guarita. Regina guardò il suo minuscolo orologio; erano le dieci e mezza: poteva aspettare ancora un momento.
S’alzò e s’avvicinò alla finestra: a destra, a manca, in alto, quel cielo abbagliante; sotto, la linea ferroviaria, le case immense, gialle al sole; il palpito enorme di un treno lontano, lembi di verde, il soffio indefinibile della primavera e della vita.
E tutto era bello.
Gabrie non tornava; Regina si levò dalla finestra e s’avvicinò al tavolino, per deporvi le viole che teneva ancora in mano. La sua sottana frusciava forte nel silenzio della cameretta.