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vento con un piccolo ventaglio giapponese che pareva di vetro smerigliato: gli anelli delle sue piccole mani scintillavano nella luce sempre più tenne e rosea del salotto.

Null’altro. Come sempre, nessun segno; nessuna rivelazione del segreto. Antonio non badava a madame, e questa, più cascante ed impassibile del solito, tendeva l’orecchio verso la persona che parlava in ultimo, e di tanto in tanto rispondeva con parole garbate, ma aveva negli occhi metallici quello splendore vago, un po’ languido, di chi pensa a cose lontane tutte sue.

Dopo un po’ Regina s’alzò, Antonio la seguì: si congedarono e se ne andarono. Marianna li rincorse fino all’anticamera e baciò Regina su ambe le guancie, dicendole addio.

— Anche a me — disse Antonio, tendendo la guancia.

— A voi domani — ella rispose, proseguendo lo scherzo. Poi, seria: — Venite verso le sette, perchè prima dobbiamo uscire.

— Ah, — aggiunse poi, accompagnandoli fino alla porta, — è tornato poi quel signore. Vuol dare trecento lire, o una pelliccia nuova; ma madame si ostina a voler la sua. Dice che bisognerà citarlo in pretura.

— Citiamolo pure; per me! — disse Antonio. — Ma era poi buona la pelliccia vecchia?

— Eh, nuova costava novecento lire!

— Vedremo; arrivederci.

— Addio; verrete ad Albano, Regina?

— Se madame c’invita! — rispose Antonio, allontanandosi.

Regina non disse nè sì, nè no: camminò un