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Lungo la via Antonio e Regina, che camminavano a testa bassa, tenendosi i cappelli fermi con la mano, un po’ si bisticciarono, un po’ risero: giunti davanti al villino si guardarono attorno come ladri. La via era deserta, spazzata dal vento. Sui marciapiedi bianchi volteggiavano foglie di rosa e di geranî: un caldo odore di gigli saliva dai giardini chiusi; pareva d’essere in una città nuova, sconosciuta, non ancora abitata; e quando Antonio aprì la porta del villino, Regina disse:
— Mi pare di entrare in una di quelle casine incantate, che i bambini smarriti trovano per caso, come si legge nelle favole...
*
Credette di entrare in un bagno quando penetrò nel vestibolo fresco, spoglio di corsie. I lupi erano coperti da un panno; pareva si fossero camuffati così per divertirsi, in assenza dei padroni; ed una testina di marmo, pallida dietro una palma immobile, sorrideva silenziosamente.
Regina camminò piano per abitudine e si levò il cappello davanti allo specchio coperto da un velo; poi ricordò che erano soli, mise il cappello alla testina di marmo e rise forte.
— Taci, — disse Antonio, piano. — Non ridere così.
— E chi ci sente?
Egli aprì; ella lo seguì: attraverso i salotti entrarono nella sala da pranzo. Antonio procedeva con un certo riserbo, camminava in punta di piedi, non voleva che Regina ridesse.
— Se non è per far da padroni perchè mi hai