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Arduina espose subito il perchè della sua visita. Oh, brava, brava; ma lo zio si era perfettamente scordato «dell’affare». Non lo disse, veramente, ma Regina lo capì benissimo.
— Oh, brava, brava! Voi avete un giornale, è vero? Feminista?
— Ma no; però... un feminismo bene inteso.
— Certo, feminismo bene inteso. Insegnare alle donne a lavorare. Abituarle all’idea del lavoro, del guadagno, dell’indipendenza... Quando io vado all’estero, e specialmente in Inghilterra, resto vivamente colpito dalla «fisionomia morale» delle donne, così diverse dalle nostre... da voi...
— Ma io lavoro! — protestò Arduina.
— Ma il tuo lavoro non è abbastanza proficuo se hai bisogno dei sussidî del Governo! — disse vivamente Regina.
— Oh, brava, brava! E lei scrive?
— Oh, io non ho fatto mai niente!
Il senatore la guardò coi suoi occhi beffardi e malinconici: ella arrossì, ricordandosi che non aveva mai lavorato in vita sua.
— Io ho ancora bisogno dei sussidî perchè in Italia il lavoro non è rimunerato. Ma in avvenire... Ma le generazioni che noi educheremo, ma ecc. ecc.
Arduina fece un lungo discorso sulle generazioni future, e ritornò al punto di partenza: il sussidio.
— Benedetta figliuola, avremo il sussidio, — disse il senatore, che guardava sempre Regina.
— E l’udienza?
— E l’udienza! — egli promise. In quel momento egli sorrise come sorrideva nel ritratto