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Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/189

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Fa presto, il Direttore di un grande giornale quotidiano, a spedire un telegramma così concepito:

«Pregola mandarmi d’urgenza elzeviro».

Lo scrittore, collaboratore ordinario del giornale, sebbene forse aspetti il telegramma, lo riceve con un sentimento misto di compiacimento e d’inquietudine. Compiacenza si capisce di che; inquietudine per la parola urgenza.

Poiché, per una ragione o per l’altra, egli ancora non ha pronto lo scritto; e buttarlo giù lì per lì, e sia pure in una giornata, ammettiamo anche in due, non è nelle sue abitudini.

Esistono, è vero, scrittori, e di grande valore, che possono ricevere imperterriti il telegramma; beati loro: ne conosciamo invece altri che ci fanno su una malattia.

Per conto mio l’urgenza dell’elzeviro mi desta sempre un vago indefinibile sgomento. Sarà forse ancora l’impressione del primo telegramma del genere, ricevuto, del resto