Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/221

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penombra i cuori sembrano lumache morte, mentre gli schizzi dell’inchiostro danzano come folletti neri intorno al monumento funebre del calamaio che ricorda quelli dei caduti in guerra. Carte melanconiche piovono adesso sulla desolazione del tavolino: gli avvisi delle tasse, la nota del dottore, l’annunzio di una morte, l’annunzio più funebre ancora delle nozze di un uomo brutto con una donna bella. Tutto sopporta il decaduto tappeto che vede già, negli occhi cattivi della sua padrona, anche l’annunzio della sua prossima fine. Invano, con un estremo luccichio, con un dondolarsi tenero dei cuori che tentano un’ultima seduzione, pare chieda la grazia sovrana.

— Salvami almeno dalla morte nel sacco della Sacra Famiglia. Tante cose abbiamo sopportato assieme, liete e tristi. E non sopportiamo forse ancora assieme la lista della spesa giornaliera, le lettere dei seccatori, la nota per la lavandaia?

Ah, ma a questo punto la padrona si sdegna e protesta: ricorda al tappeto che la nota per la lavandaia bisogna rispettarla, se non altro perché, dicono, fu da un grande maestro messa in musica.

— E, — aggiunge, — lasciando il resto del pesante fardello del logorio quotidiano, basta accennare alla foderetta del guanciale,