Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/23

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Andarono dunque dietro al compagno, che aveva almeno la delicatezza di non aprire ancora il sacchettino, e usciti fuori dalla sala ripresero animo, rallegráti anche dal sole che riscaldava le panchine dello spiazzo e dalla bellezza di tutto. Passavano frotte grigie di collegiali, guidate da lunghi preti melanconici; passavano rubicondi pensionati, che, dopo aver assaggiato il vino del chiosco accanto, sorridevano ancora alla vita e alle belle ragazze coi baschi birichini messi alla sghimbescia sulle testoline matte: l'erba dei prati luccicava come verniciata, e il cielo sembrava uno studio di scultore, con blocchi di nuvole marmoree abbozzate genialmente: ma sopratutto bella era la fontana, coi suoi portentosi fili di diamanti, ora alti ora bassi, che la vasca di alabastro si divertiva a mandar su e a ringoiarsi con un piacevolissimo gioco di prestigio.

I tre si misero a sedere su una panchina accanto al chiosco e ricominciarono a scherzare. Giulio fu generoso, ma non troppo, offrendo agli amici due giuggiole per uno. Marino, che era buono e dolciastro come il frutto che masticava, ringraziò abbastanza cortese, mentre Gregorio sputò con disprezzo la seconda giuggiola dicendo che era amara come un’oliva.

Fu in quel momento che una grossa si-

Deledda, Sole d’estate. 2