Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/42

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trare nella sala; lo fermò un lieve scricchiolìo della ghiaia del vialetto sotto la veranda. Il vialetto finiva nel cancello che si apriva sull’arenile; e nel volgersi, egli vide il cancello aperto e un’ombra che vi si era introdotta e che con lentezza sicura e familiare si avanzava verso gli scalini della veranda.

Era una figura esile e piccola, vestita di turchino chiaro, coi pantaloni lunghi e larghi: i capelli di rame brillavano alla luna. Sulle prime egli la credette quella di una donna, in pigiama da spiaggia, come se ne vedevano in quei mattini ancora caldi di settembre: ma a misura ch’ella si avvicinava egli ne distingueva il viso brunito, gli occhi piccoli, fissi, e due baffetti neri che lasciando completamente scoperto il labbro superiore, davano l’impressione che fossero finti, agganciati per scherzo alle narici.

Furono questi baffetti che indispettirono il poeta: sapeva bene che erano di moda, come di moda, ai suoi tempi, erano i virili baffoni di alcuni suoi compagni d’arte: ma appunto il paragone lo irritò maggiormente. Pur nel sentire che lo sconosciuto importuno era innocuo come un sonnambulo, si abbandonò a immaginarselo pericoloso, anzi spinto da intenzioni criminose: quindi gli si rivolse ostile, chiedendogli con voce grossa:

— Chi è lei? Che cosa vuole?