Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/44

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Già in fondo placato, l’altro ribollì ancora di sdegno, sia nel sentirsi chiamare ironicamente Maestro, sia nel raccogliere, dalle ultime parole del giovine una piccola bugia.

— Il cancello era fermato con la maniglia, — disse, spingendo il braccio col pugno chiuso — e fosse stato anche aperto, lei doveva suonare, prima di entrarci.

— Signore, lei mi offende....

— Tanto meglio: le sarà di lezione. E adesso mi faccia il favore di andarsene.

Ma l’intruso non la intendeva così: un furore ben più scottante e profondo di quello del poeta lo sollevava tutto: quasi per una forza di difesa contro un nemico mortale, balzò sulla scalinata, fu quasi petto a petto con l’idolo, parve volesse attaccarlo e infrangerlo; ma alle voci era precipitata giù la cameriera, e fu la vista della elegante fanciulla nero-bianca trinata che ricompose immediatamente il maleducato visitatore. Senza affrettarsi, egli ridiscese retrocedendo gli scalini, fece un segno di saluto, e andò via: la cameriera lo raggiunse, e mentre ella apriva e poi chiudeva a chiave il cancello, il padrone si accorse che il giovine, nell’uscire, le diceva qualche cosa.

— Sa che cosa mi ha detto? — ella esclamò, sollevando con un bel gesto teatrale il lembo diafano del grembialino; — che vo-