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LIBRO QUINTO 291

colla guerra, e disperanti appieno delle umane risorse, rammentano quelli aiuti in precedenti simili congiunture da loro sperimentati, confessando ora che la violazione dei paterni riti tratti aveali in rovina.

Mentre volgean la mente a queste considerazioni, Pompeiano, prefetto della città, imbattesi in alcuni venuti dalla Toscana a Roma, i quali asseriscongli di aver liberato la città di Neveia1 da simiglianti calamitadi col porger voti e promettere il paterno culto al Nume, dopo di che un tremendo strepito di tuoni e folgori cacciato avea i barbari minaccianti d’entrarvi. Parlato a costoro osservò ne’ libri pontificali tutte le pratiche da eseguirsi all’uopo, e suggerendogli l’opinione a que’ dì predominante, comunica l’occorso, per mandare ad effetto con maggior sicurezza i suoi divisamenti, al vescovo di Roma. Questi era Innocenzo, il quale anteponendo ai proprj sentimenti la salvezza della città, di ascoso consentì ch’e’ ponessero mano a tutto quel mai da loro saputo. Ma queglino rispondendo che indarno spererebbonsi tali riti giovevoli a Roma, quando i sacrificj d’uso non venissero in pubblico fatti, il senato, asceso il monte Capitolino, e così quivi come in qualunque altro foro della città debitamente compiendoli, nessuno ardì comparire alla celebrazione giusta il paterno rito di essi. Mandati al-

  1. Detta Narni dal Sigonio con poca differenza da Sozomeno (cap. 6,1. e), che scrive Larnia. Ognuno poi ben s’accorge che tutto questo favoloso racconto è opera di Zosimo. T. S.